Chiunque abiti o abbia trascorso una vacanza in terra sicula, avrà sicuramente avuto l’opportunità di gustare i vari tipi di spaghetti accompagnati da tutti i tipi di pesce, frutti di mare e crostacei, soprattutto gamberi, cozze e vongole (particolarmente apprezzate sono le “veraci”, ossia quelle con la conchiglia più scura), ma anche con il nero di seppia, con la bottarga e con la neonata.
Grazie alla varietà della cucina siciliana, se nuovi piatti vengono spesso sperimentati, non è inusuale che, già in poco tempo, essi passino da “invenzione” a “classico” della gastronomia siciliana, come, ad esempio, la pasta con pesce spada e melanzane. È invece ancora rimasta limitata alle isole Egadi la squisita pasta in brodo di aragosta.
La diffusione della pasta con i ricci è relativamente recente, sebbene l’idea di farne una salsa sia in realtà antichissima: nelle Satire di Orazio apprendiamo infatti che «Curtillo mostrò il modo di insaporire la salsa con uova di ricci spaccati in due, e con il loro liquido che è migliore di qualsiasi salamoia».
Così nacque la pasta con i ricci di mare, e quel “ciavuru ru mari” così tipico di questo piatto della nostra cucina tradizionale, che mette insieme ingredienti semplici come l’olio d’oliva, l’aglio, il prezzemolo e ovviamente i ricci che hanno un sapore unico ed intenso di mare, più delicato di quello delle ostriche, tra il dolce e il salato, anche se i ricci di mare danno il massimo del loro gusto consumati crudi con al massimo una goccia di succo di limone.
I ricci di mare sono organismi marini appartenenti al Phylum degli Echinodermi. Il termine echinodermi deriva dal greco (echinos = aculeo e dérma = pelle) e significa “pelle con spine”.
La parte commestibile dei ricci di mare è costituita dalle gonadi (l’apparato riproduttore), ossia la polpa arancione contenuta all’interno del riccio, che tra l’altro presenta una ricca fonte proteica, avendo un basso contenuto di grassi e fornendo fosforo e ferro.
Il periodo migliore dell’anno in cui gustarli è l’inverno, tra gennaio e febbraio.
Per aprirli esiste una apposita forbice denominata per l’appunto “taglia ricci”, oppure si può usare una forbice qualsiasi, facendo attenzione a non pungersi con gli aculei. Le spine del riccio di mare, infatti, se toccate, possono provocare dolore e bruciore. Gli aculei, fragili e molto sottili, molto spesso si spezzano all’interno della ferita. Per evitare qualunque tipo di infezione sarà necessario disinfettare la ferita e rimuovere completamente l’aculeo con una pinzetta. Per accertarsi che la parte dell’aculeo non sia rimasto sotto cute, si possono effettuare ripetuti impacchi di aceto che andranno a sciogliere eventuali frammenti di spina.

Pulire i ricci non è dunque una cosa molto veloce e per di più neanche tanto semplice, occorre tempo e pazienza. Bisogna tagliare il riccio in senso circolare e, una volta aperto, si libera il guscio dal liquido e dalle spine che sono entrate dentro, e poi, con un cucchiaino, si tirano fuori solo le uova arancioni, che si mangiano anche crudi con un po’ di limone spremuto o spalmati su un po’ di pane casereccio.
Infine, per essere sicuri di non sprecarli in alcuna parte, i loro gusci, privati degli aculei (basta lasciarli a bagno nella candeggina) si presentano di vari colori e possono essere utilizzati a scopo ornamentale o come delle particolari palle per addobbare l’albero di Natale o come colorati portapenne o soprammobili.
