Approfondire la conoscenza di popoli e culture, diversi per etnie e area geografica, è il compito principale di un antropologo, e per farlo il metodo migliore è l’esperienza diretta. La giovane ricercatrice palermitana, Angela Giattino, laureata nel 2013 all’Università degli studi di Palermo e inserita in un progetto di ricerca per l’Università di Londra “London School of Economics and Political Science”, studia la vita dei giovani studenti dell’Università peruviana, in Amazzonia. In quest’intervista, la ricercatrice spiega il suo progetto di ricerca e racconta la sua esperienza in un paese straniero.
In che modo è strutturato il dottorato che hai scelto?
Nel mio sito di ricerca, l’Amazzonia peruviana, sono l’unica italiana. Il progetto a cui partecipo è stato scritto e presentato da me, spinta dal clima interculturale che si respira nell’università che presento. Questa scelta dipende molto dal retaggio culturale come siciliana, dall’incontro fra culture diverse che c’è in questa università e dall’idea di una gioventù che riscrive i propri schemi di collaborazione, di solidarietà, anche di razzismo, secondo metodologie del tutto nuove.
Cosa vuoi fare emergere da questa ricerca?
Mi interessa l’idea di interculturalità a livello pragmatico, attraverso ciò che posso realizzare con questo progetto. In questa università dell’Amazzonia peruviana ci sono molti ragazzi che intendono migliorare la condizione delle comunità da cui provengono, quindi, dal punto di vista antropoligico, mi interessa l’esperienza degli studenti in prima persona oltre che un aspetto di antropologia cognitiva, che è legato al potere che ha l’istruzione di individuare schemi nuovi per istruire popolazioni che sono state tradizionalmente emarginate. Capire in questo caso come si realizza l’apprendimento.
In che modo si svolgono le tue giornate?
Mi sveglio al sorgere del sole, generalmente grazie al suono di un gallo che canta, vado all’università e seguo le lezioni. Dopo ci sono seminari o conferenze, oppure manifestazioni culturali, molto folkloristiche, tipo danze, poi mi trattengo con gli studenti. Vado alla mensa per costruire delle relazioni con gli studenti e per vedere come vivono la loro vita. La maggior parte degli studenti ha dei figli piccoli, quindi dopo le lezioni vado con loro fino casa per vedere come si svolge la loro vita domestica. In Italia lo studente universitario viene agevolato nel suo percorso di formazione dalla famiglia, invece qui la fedeltà e la solidarietà di uno studente è rivolta verso la famiglia. Quindi lo studente mette prima le attività domestiche – specialmente le ragazze – e poi si dedica allo studio, per il quale resta poco tempo. Molte ragazze vengono all’università con i bambini in braccio. Anche il concetto di adolescenza è interessante, non in tutte le etnie viene riconosciuto. In alcune popolazioni la persona passa dall’infanzia all’età adulta avendo un bambino, c’è un collegamento tra l’idea degli studenti che vogliono crescere e svilupparsi professionalmente e la loro identità culturale che li vede già con figli in braccio, spesso già a tredici anni. Le famiglie locali a volte li supportano molto, perché si rendono conto dell’importanza di diventare professionisti, che la cosa può portare benefici a tutti.
Nel corso di questa esperienza, hai assistito a eventi particolari?
Sì, io vivo in una famiglia di nativi – perché il termine indigeni non viene visto benissimo – in cui tutti gli uomini sono degli sciamani – termine inappropriato importato da noi, ma va bene per chi legge –. Ho lavorato nella preparazione dell’ayahuasca, la bevanda di guarigione usata da queste popolazioni, serve a indurre la trance attraverso la miscela di diverse sostanze allucinogene. Ho partecipato ai rituali di guarigione in cui ai pazienti viene somministrata la bevanda e in cui questi hanno le loro visioni, è un percorso legato a una purificazione catartica, di dieta e di preparazione alla cura. L’impatto più forte l’ho vissuto la prima notte, quando sono arrivata, con i canti Icaros cantati nella capanna accanto. Lì mi sono davvero resa conto di essere atterrata in un altro mondo. E’ un canto spirituale.
Avendo fatto questo percorso, guardando anche le problematiche della città di Palermo con un occhio esterno, cosa puoi dire circa i problemi che affliggono la città? Cosa senti di rispondere a chi dice che questa città non si redimerà mai?
Posso rispondere con quello che un eroe locale ha detto circa la mafia: che è un fenomeno umano e quindi avrà una sua fine. Il momento di crisi in cui si trova Palermo e l’Italia avrà un inizio e una fine. La città ha un enorme potenziale di recupero, anche l’Amazzonia, ma non so se si realizzerà in breve tempo. Palermo però ha una posizione culturale egemonica. Nella zona in cui lavoro la cultura delle popolazioni locali è stata resa subalterna dal colonialismo, questa è una grande differenza. Palermo ha una posizione culturale di rilievo e questo è un enorme capitale su cui potremmo investire di più.